Le aquile volano basse

Ma che sta succedendo al rock? Quanti dispiaceri ci deve ancora regalare questa vita ingrata per privarci di coloro che hanno accompagnato molti dei nostri viaggi e delle nostre serate, rendendocele migliori?
In una notte stellata, tipo quella dipinta da Van Gogh, ci saluta un altro immenso protagonista del rock mondiale, Glenn Frey, anima e fondatore degli Eagles assieme a Don Henley.
Personaggio carismatico e a tratti dispotico, famoso per aver composto musiche che hanno accompagnato generazioni, assieme a quell’altro genio di Henley, una voce che pare scendere direttamente da un’altra dimensione. I due sono stati i veri padri-padroni della band, fino al punto da alimentare dissidi interni tali da rischiare di far cessare più volte la vita degli Eagles.  Ad esempio uno dei litigi più famosi della storia del rock, Glenn lo ebbe con Don Felder, uno dei due chitarristi che aveva fatto l’assolo di finale di Hotel California (l’altro era Joe Walsh), insomma non proprio uno qualsiasi.
Felder reclamava spesso di voler essere anche lui a cantare qualche canzone, ma Glenn gli negava categoricamente questa possibilità, dato che non c’era voce migliore di quella di Don per tutta una serie di hit della band. I malumori sfociarono durante un live a Long Beach nel 1980 (un concerto che poi fu chiamato: Long night in wrong beach), Glenn, verso la fine del concerto, a microfoni aperti disse a Felder che, una volta terminato il live, gli avrebbe spaccato il muso. Infatti, nei sotterranei dell’arena si assistette a scene di inseguimento e scazzottate a stento arginate dalla sorveglianza. La cosa bella è che queste scene erano fatte direttamente dai protagonisti e non dai fan!
Insomma una band che, a causa della forte personalità dei suoi protagonisti, attraversò parecchie inquietudini interne. Al punto che, dopo quella tourneè del 1980, ebbero una delle tante crisi di convivenza musicale gli stessi genitori della band, Glenn Frey e Don Henley, che non sopportavano più nemmeno di vivere nella stessa città e si trasferirono in due punti opposti degli States. Dovendo registrare il live di quella torneè (Eagles Live, appunto) il produttore fu costretto a raccogliere le registrazioni dei due artisti a distanza e spiegò in una intervista che: “la perfetta registrazione delle armonie vocali è stata gentilmente concessa dalla Federal Express”.
Ma dopo qualche anno le aquile ripresero a volare e a confezionare ancora successi, sfociati nell’ottimo The Long Run, dove ripresero a suonare rock ballads e intonare cori alla loro maniera, come se avessero appena iniziato.
Nel 1998 ebbero il più alto riconoscimento della loro carriera, essendo inclusi nella Rock and Roll Hall of Fame. Durante la cerimonia, per la prima volta, suonarono insieme tutti i membri della band (perfino Meisner e Leadon che avevano fatto parte del primo periodo) e fu un momento di grandissimo pathos.
Ho avuto la fortuna di vederli dal vivo in Italia un paio di estati fa, e proprio stanotte, alla notizia della scomparsa di Frey, ho inviato un messaggio ai miei compagni di merende musicali, ai quali ho scritto:”abbiamo fatto appena in tempo”.
Quel tempo che invece mi è mancato per assistere ad un concerto di un altro che ci ha lasciato prematuramente qualche giorno fa e che aveva occhi di colore diverso ma una capacità di innovazione non solo nella musica che gli umani ricorderanno per tutto il loro percorso sul pianeta terra.
Non sono particolarmente credente di entità extraterrene, penso che se dovessi scegliere una religione sceglierei il rock, e se dovessi immaginarmi di qui a una cinquantina d’anni, forse mi vedrei con altri vecchietti rimbambiti a discutere di quale band abbia significato di più per noi umani.

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